L’obiezione di coscienza, che qui interessa, riguarda il rifiuto di obbedire alla legge per motivi legati alla coscienza. Si sostanzia in un rifiuto di rispettare la legge e, l’ordinamento, acconsente a tale rifiuto.
La realtà ci ha portato a considerare con molta prudenza alcuni problemi, non solo etici, ma sociali.
Il nostro ordinamento giuridico non ha una norma che contempli l’obiezione di coscienza i cui presupposti si devono ricavare dai Principi generali.
A livello internazionale e sovranazionale lo si trova espressamente all’art. 18 della Dichiarazione universale dei diritti umani, all’art. 18 del Patto internazionale sui diritti civili e politici e all’art.9 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
Nel tempo si è andati a stabilire che lo Stato non può imporre un qualunque atto, sia pure previsto dalla legge, ma deve altresì prevedere per i cittadini la possibilità di sottrarsi da quegli atti non qualificabili come religiosi, ma che tuttavia coinvolgono la coscienza individuale ad un livello tale di profondità da non risultare tollerabili al singolo.
Questa considerazione, all’inizio della sua ideazione, di puro principio generale, è andato nel tempo, a stratificarsi e divenuto norma non scritta ma in vigore prima con le sentenze e poi con le leggi che nel tempo si sono adeguate ai tempi.
Si può parlare quindi di un diritto a non essere costretti a tenere comportamenti in contrasto con i dettami della propria coscienza.